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A tutto (true crime) podcasting: breve riflessione su un fenomeno in crescita

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Lo scorso 24 ottobre Per Elisa, fiction Rai diretta da Marco Pontecorvo, si è attestata con i suoi due episodi d’esordio come il programma più visto nella fascia prime time, registrando il 16,9% di share. La serie ripercorre uno dei casi di cronaca nera più celebri del giornalismo italiano, quello riguardante Elisa Claps.

Un breve riassunto dei fatti: è il 12 settembre del 1993 quando la sedicenne Elisa scompare nel nulla a Potenza, in Basilicata. Cercata disperatamente dai famigliari, la sua storia si incrocia purtroppo con una serie di reti omertose e clamorose miopie investigative che devieranno l’attenzione dal principale sospettato, Danilo Restivo. Il corpo della ragazza è stato ritrovato infatti solo nel 2010, nella chiesa dove era stata vista l’ultima volta, mentre Restivo nel 2014 è stato dichiarato colpevole dell’omicidio della ragazza e deve scontare una pena di oltre 70 anni con la giustizia italiana e quella inglese, essendosi macchiato di un ulteriore omicidio oltremanica, quello della sarta Heather Barrett. Per approfondire i dettagli, suggeriamo la lettura di questo articolo del Post.

Adattamento di Blood on the Altar, scritto dal giornalista inglese Tobias Jones e prodotta con la supervisione della famiglia, la serie esce in occasione del 30esimo anniversario dalla scomparsa dell’adolescente. I picchi di circa 3.005.000 spettatori testimoniano ancora una volta la passione del pubblico italiano per i misteri irrisolti e le storie tormentate. Caratteristiche che riguardano sì il fenomeno della televisione del dolore, ma che negli ultimi tempi sta interessando un altro medium: il podcast.

In effetti, la serie tv Rai non è l’unico prodotto recente dedicato al ricordo dei fatti del ‘93, ma anzi è curioso osservare come arrivi insieme ad altri progetti, tra i quali possiamo menzionare  l’episodio “Per Elisa” del 2021 della serie Demoni Urbani de Gli Ascoltabili, l’uscita di giugno 2022 di Indagini, a firma del giornalista Stefano Nazzi. Si aggiunge Dove nessuno guarda, podcast di Pablo Trincia prodotto da SKY Italia e SKYTG24 e realizzato da Chora Media, pubblicato tra agosto e settembre 2023 e in uscita con materiali video in queste settimane sui canali dell’azienda produttrice. Un solo caso mediatico ci permette di riconoscere un legame intrigante: quello tra podcast, appunto, e crime.

Basta in effetti guardarsi intorno e notare come l’esplosione di questo trend sia abbondantemente intorno a noi: non è inusuale imbattersi in un ascoltatore di Elisa True Crime della podcaster Elisa De Marco o Mentre Morivo di Marica Esposito. Caso editoriale nelle librerie, ma soprattutto serie audio a puntate, come veniva definito, Veleno di Pablo Trincia, nonostante sia stato pubblicato nel 2018 è ancora acclamato come uno dei migliori prodotti italiani di questo tipo. Nelle classifiche delle maggiori piattaforme di streaming, i progetti a carattere giallo-investigativo ricoprono sempre posizioni altissime.

Ma perché piacciono tanto queste storie? E, soprattutto, cosa sancisce il successo di questo mezzo – partito in sordina nel 2003 e esploso solo dal 2014 negli USA grazie a Serial – a principe ereditario di un intero genere narrativo?

Partiamo dalle basi: questo mezzo permette di fruire contenuti con barriere di accesso bassissime (bastano un device digitale e l’accesso alla rete internet), è disponibile on demand e spesso scaricabile per l’uso offline, offre prodotti in ogni lingua, è possibile modificare la velocità di riproduzione, consente di essere interrotto e ripreso quando si vuole in base alle proprie esigenze. Caratteristica essenziale, poi, è l’essere hand free: una volta avviata la riproduzione, all’utente non resta che ascoltare, mentre può compiere qualsiasi azione, dal guidare a riordinare la casa.

La rivoluzione sta proprio in questo passaggio. Il genere del crime ha appassionato fino a ora generazioni intere di persone, ma per fruirne queste avevano necessità di ritagliarsi un momento e uno spazio per leggere un libro, e quindi tenere impegnate le mani, oppure guardare un prodotto visivo, e quindi rimanere concentrati su quello per seguire senza perdere pezzi importanti.

Il podcast invece si avvale di funzioni antichissime, ovvero quelle della tradizione orale. È noto che i poemi omerici siano stati tramandati attraverso gli aedi, i cantori dell’antica Grecia. Attraverso l’utilizzo della metrica, del tono di voce e di un accompagnamento musicale, evocavano le gesta di eroi e divinità, lasciando agli ascoltatori la capacità di immergersi nelle vicende e immaginarne dettagli e colori. Pensandoci, l’ascoltatore moderno non fa poi un’esperienza così diversa da quella del suo antenato: il tono di voce rimane fondamentale, il ritmo del racconto è ciò che intrattiene, il sound design crea l’ambiente sonoro. Ciò che è cambiato è il medium attraverso cui recepisce le storie. 

Differente dal semplice prodotto radiofonico, un podcast può avere mille sfumature e toni, da quello di semplice intrattenimento a quello educativo, da quello informativo a quello di approfondimento. Allo stesso modo, un ascoltatore tipo può avere diversi interessi e scegliere di ascoltare ciò che più gli piace in un determinato momento. 

Vale la pena, allora, approfondire il profilo di chi ascolta podcast true crime, dato che è su questo genere che ci stiamo concentrando e, soprattutto, quali sono gli elementi di questi prodotti che attraggono così tanto.

Gli studi più tradizionali sostengono che il pubblico dei prodotti investigativi sia soprattutto quello femminile. Secondo questa lettura dei dati, le donne sceglierebbero queste storie per esorcizzare la paura di diventare vittime, imparando così a riconoscere campanelli d’allarme e situazioni di pericolo. In realtà è proprio la popolarità e universalità del fenomeno del podcasting che ci aiuta a superare questa visione, raggiungendo spiegazioni più complete.

L’essere umano è attratto dall’ignoto, dalla necessità di indagare e scoprire misteri. Questa curiosità naturale si accende quando messa davanti a fatti straordinari che alterano la quotidianità.

Nell’incipit del primo episodio di Dove Nessuno Guarda, Trincia riassume così questo istinto:

“Mi sono sempre chiesto da dove arrivasse la mia passione per le storie dei serial killer e ho scoperto che ci sono diversi motivi. Ce n’è uno che dovrebbe farci riflettere forse più degli altri ed è che questi racconti che hanno a che vedere con la violenza, con il trauma, con la morte, in realtà ci fanno sentire al sicuro. Ci consentono di vedere il male attraverso un vetro. Non sta accadendo a noi, colpisce gli altri. Possiamo guardarlo da una postazione protetta. Possiamo provare il brivido senza sentire il dolore. Quando ascoltiamo la storia di un assassino, ci conforta credere che tutto il male sia concentrato dentro a quell’essere umano, dentro a quella mente e a quel corpo. E ci conforta credere che quando è stato catturato e chiuso da qualche parte, quel male e quella cattiveria lo seguano e spariscano insieme a lui, al mostro.”

Queste storie insomma sono capaci di innescare un legame empatico immediato, di permettere alle persone di sentirsi anche agenti della narrazione, partecipi dell’azione collettiva. Si annida qui quel meccanismo che mobilita le folle quando si verifica un fatto di cronaca nera, lo stesso che permette a estranei alla vicenda di commuoversi e piangere davanti alle telecamere di un telegiornale per esempio, di stringersi in un dolore che, in fin dei conti, sarebbe di base lontano. 

Alcuni aspetti della psicologia poi collegano l’empatia umana con il manifestarsi della schadenfreude, ovvero il sollievo che si prova quando ci si rende conto di non essere la vittima. Nel caso di un ascoltatore di podcast si potrebbe quasi dire però che il sollievo è anche nel prendere consapevolezza di non essere il carnefice, che anche se capaci di azioni terribili si sceglie di non compierle. Una visione più oscura, ma compatibile con la complessità delle emozioni umane.

Sono proprio queste infatti, le emozioni, che reggono l’intero sistema, il nocciolo che spiega il successo di queste produzioni. L’abbiamo visto con l’affermarsi massiccio della televisione, quando le emittenti hanno imparato a scalpitare nella ricerca alla notizia, indagando ogni via, dando in pasto agli spettatori, qualsiasi informazione possa aggiungere qualcosa al racconto, intercettando la voglia del pubblico di saperne di più. Certe volte questo processo, si sa, sfocia in tratti spesso eccessivi, con l’ingerenza dei media che specula sulla sofferenza di pochi, teorizza e polarizza l’opinione pubblica.

Ecco, nel caso del podcast la leva su cui si agisce è la stessa ma, dato che basa la costruzione della narrazione su un sistema più lineare, gli elementi di spettacolarizzazione vengono meno, creando un rapporto più intimo tra il racconto e l’utente, più vicino alla forma “uno a uno” che “uno a molti”. Un fattore evidentemente di successo, nel periodo in cui invece un’incontrollata spreadabilty – ovvero l’insieme delle caratteristiche che rende una narrazione adatta alla diffusione tramite diversi canali – e la presenza costante dei social media, sembrano chimere da cui fuggire. Seppur infatti il branded podcasting stia entrando sempre più a pieno regime in questo sistema mediatico, l’immaginario collettivo lo percepisce ancora come un universo parallelo vergine di pop up e pubblicità invadenti, di stories adv o di suggerimenti di acquisti.

Allora vale la pena di abbassare le luci in casa e sedersi in tranquillità. Oppure avviare la riproduzione prima di accendere il motore. Approfittiamo di tutto ciò che di evocativo questo genere può regalarci, seppur tra emozione, curiosità e un pizzico di suggestione.

 

 

 

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