Che il mondo della lettura sia in calo è un dato (triste) di cui dobbiamo prendere nota per capirne le ragioni più intrinseche. Durante i periodi di chiusura del 2020 il trend era aumentato del 3% (Il Sole 24 ore ne parlava qui), ma a nulla serve rifugiarsi nell’illusione che la pandemia ci abbia riportato con il naso tra le pagine. La ripresa sempre più costante di attività e ritmi regolari, unita all’aumento progressivo dei costi di approvvigionamento di materie prime sembra aver fatto tornare i libri ad accumularsi sugli scaffali, con un calo del -4% rispetto al 2021 secondo il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia di AIE.
La colpa (se di colpa si può parlare) è sicuramente in parte del nostro stile di vita, frenetico e spesso superficiale, che ci porta a preferire dimensioni mediali più immediate e facili da digerire come le serie tv e i prodotti digitali (inutile commentare la nascita smisurata di piattaforme OTT e social a carattere video esclusivo, come TikTok). Gli effetti sono devastanti: l’Italia è tra gli ultimi posti per diffusione della lettura in Europa, con picchi del 60% di cittadini che nell’ultimo anno non hanno letto nemmeno un libro, secondo l’Istat.
Serve studiare i comportamenti, capirne le ragioni profonde, ripartire dalle basi. Ed ecco che il detto “cultura cibo per la mente” assume un significato tutto nuovo. Il problema è che leggere viene spesso interpretata come una attività opzionale, superflua, di cui si può fare a meno.
Cosa succederebbe se la lettura diventasse invece un bisogno primario, un’attività essenziale al pari di vestirsi e nutrirsi?
È quello che si è chiesto il Gruppo DDB Italia con la campagna “Hungry for Culture” realizzata per la catena di supermercati Bennet. Una mossa audace e lungimirante che sicuramente non passa inosservata: i libri sono stati esposti sui banchi frigo in mezzo al pesce fresco, tra la verdura, vicino alla carne. Confezionati in vaschette alimentari, gli intrusi cartacei hanno subito attirato l’attenzione dei clienti che, sorpresi e sicuramente incuriositi, hanno portato il prodotto in cassa.
Sorprendente come una trovata di product placement così particolare sia stata capace di accattivarsi i consumatori portando un risultato così positivo: è un po’ la prova che in comunicazione non esistono tabù, che gli abbinamenti ossimorici hanno un loro significato, che uscire dal tracciato può condurre a buoni risultati e che un’idea innovativa può fare la differenza, anche (e forse soprattutto) quando si parla di cultura.
Spesso concepita come qualcosa di lontano e astratto, in questo caso la cultura è stata disseminata proprio tra le cose più fisiche e quotidiane, in una divertente caccia al tesoro che l’ha portata (a forza) sotto gli occhi di potenziali (e inconsci) lettori. La campagna non si è limitata agli store fisici, ma ha conquistato anche il sito ufficiale e i suoi canali social, portando in display suggerimenti di lettura e copertine abbinate ai prodotti più tradizionali, quali mozzarelle, pasta, merendine, etc.
È un modo per concentrarsi sulle persone piuttosto che sui consumatori, ma anche per generare dibattito e (forse) aprire nuove strade. Lo ammettiamo, un po’ vorremmo averci pensato noi, ma l’importante è raccogliere l’eredità di un episodio comunicativamente forte e d’impatto e valutare i suoi effetti: chissà dove finiranno i libri la prossima volta nella tortuosa strada per avvicinarsi alle nostre teste!
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