Numero Zero

Con la cultura (non) si mangia – Parte uno

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Qualche mese fa è uscito un libro intitolato Con la cultura non si mangia? L’autore è Dario Franceschini, attuale Ministro della cultura e quindi la domanda appare volutamente retorica. Nelle anticipazioni di stampa si legge, per esempio:

 Lo sviluppo è sempre meno basato su cantieri e fabbriche e sempre più sull’industria creativa e immateriale, più sui contenuti che sui contenitori. La ripresa italiana si giocherà su questa frontiera innovativa, sulla capacità di rompere gli schemi. Scaturirà dal talento, dalla fatica e dall’immaginazione di designer, art director, fotografi, artisti, musicisti, ricercatori, scrittori e scienziati. Una filiera che rappresenta il terzo settore più importante sul piano occupazionale, superando in termini numerici l’industria alimentare, automobilistica e immobiliare. Una realtà vivace, che può fare da traino ed è in grado di produrre un valore che va oltre i semplici ricavi economici, interpretando l’anima stessa del nostro paese. 

Niente di nuovo: sono anni che lo si va dicendo, almeno da quando divenne proverbiale una frase di un altro ministro della Repubblica che sostenne che con la cultura non si mangiava (o, secondo altre versioni, che la gente non mangiava la cultura).

Qualcuno dice che quella frase non fu mai detta ma, in effetti, la cosa non ha nessuna importanza. Quell’espressione è diventata famosa perché intercettava un luogo comune e dava voce a qualcosa che molti pensano: che quanti fanno un lavoro creativo non devono necessariamente essere retribuiti per quello che fanno.

Conosco abbastanza grafici da sapere bene che molti gli chiedono di fare una locandina per amicizia, «perché, tanto, che ti costa? Dài, ci metti un minuto…». Oppure fumettisti che si sentono regolarmente domandare, «bello sì, ma di lavoro che fai?». E sono sicuro che questo accada anche agli attori, ai ballerini o agli scenografi e così via.

Chissà, sarà perché siamo un paese di poeti e dunque, nel profondo, siamo convinti che la creatività sia qualcosa di “naturale”, che sgorga spontanea come l’acqua da una sorgente, e che non sia accompagnata da studio, disciplina, impegno, dedizione, ore e ore di prove e fallimenti e riflessioni.

E invece, come da anni certifica il rapporto Io sono cultura, il settore produttivo creativo e culturale impiega più del 5% della popolazione lavorativa e la sua attività economica è quasi il 6% di quella nazionale: e questi sono dati del 2021, quando il sistema ha subito una pesantissima battuta d’arresto a causa della pandemia che, però, come per molti altri settori, ha solo messo in evidenza le fragilità già preesistenti. E non mi voglio neppure soffermare sui dati del potenziale sviluppo del settore, perché vi annoiereste e smettereste di leggere.

Invece voglio dirvi almeno che cos’è Mac Factory e perché siamo qui…

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