Numero Zero

Quando a mancare è proprio il background culturale

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La legge di Bilancio 2023 ha fatto molto discutere nelle ultime settimane. Un emendamento in particolare ha catturato l’attenzione pubblica, con conseguenti polemiche: la proposta avanzata dalla maggioranza di Governo di abolire il Bonus Cultura, la misura introdotta nel 2016 dal Governo Renzi che permette ai nei diciottenni di usufruire di €500 per libri, cinema, spettacoli dal vivo, abbonamenti a riviste e quotidiani, musei, concerti e mostre. Il Presidente Giorgia Meloni ha, nelle scorse ore, fatto dietrofront e ha chiarito di non voler eliminare il Bonus nella sua totalità, ma rivedere i criteri di assegnazione, introducendo l’ISEE come requisito.

Per chi lavora nel campo della cultura, il cambio di rotta del Governo è stato sicuramente un sospiro di sollievo, ma ci pone davanti una serie di riflessioni doverose. Il Bonus Cultura, dalla sua introduzione, ha coinvolto sempre più giovani (356mila nel 2017, 441mila nel 2021). La maggior parte ha utilizzato buona parte del Bonus per l’acquisto di libri, cartacei e digitali, inclusi manuali per lo studio. Il mondo dell’editoria italiana ha subito risposto alla proposta con appelli e interventi.

Giuseppe Laterza ha dichiarato che “[…] Abolire questa misura darebbe un colpo alla lettura nel nostro Paese la cui crescita, come sappiamo, è strettamente collegata allo sviluppo civile, sociale ed economico”. In una nota congiunta, AIE – Associazione Italiana Editori, ADEI- Associazione degli Editori indipendenti, ALI – Associazione Librai Italiani, SIL – Sindacato Italiano Librai, Federcartolai Confcommercio, AIB – Associazione Italiana Biblioteche, SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori, SLC-Cgil Sezione Nazionale Scrittori, hanno dichiarato: “Da quando è stata approvata nel 2016 la 18App ha consentito a migliaia di giovani di esplorare e avvicinarsi al mondo del libro, scegliendo in piena libertà cosa leggere. Questa misura non solo ha sostenuto il mondo del libro economicamente, ma ha consentito a un Paese che tradizionalmente legge poco di fare enormi passi in avanti. Lo certifica l’Istat: nei primi tre anni il bonus ha permesso una crescita della lettura nella fascia d’età 18-21 anni dal 46,8% al 54%”.

C’è da chiedersi, quindi, per quale motivo il Governo ha, almeno inizialmente, pensato che il Bonus Cultura fosse “superfluo”, “non necessario”, e quindi eliminabile.

Sarebbe facile accusare di mancanza di lungimiranza, come di poca considerazione dei giovani. Forse, però, la vera risposta è nascosta più a fondo. La cultura, infatti, è la grande assente di questa legge di Bilancio, nonostante il ministro Gennaro Sangiuliano si sia espresso così durante una puntata di Porta a Porta, facendo sperare in ben altri intenti: «Registriamo con favore la lieve ripresa nel settore dello spettacolo, messa in ginocchio dalla pandemia. Nello stesso tempo, siamo consapevoli che occorre fare di più».

Com’è già ben noto, il comparto della cultura è stato uno di quelli più colpiti dai periodi di chiusura degli scorsi anni e, ancora oggi, soffre di un sanguinamento costante dovuto a quella ferita che andava a girare il coltello in una piaga già dolorosa. I cinema non hanno ancora ripreso una frequenza elevata, minati alla base dalla diffusione delle comode piattaforme di streaming e la stessa sorte vivono i teatri, premesso che le stagioni siano ripartite (il ché non è scontato: molti teatri non sono stati capaci di riaprire a produzioni o calendarizzare cartelloni stabili, soprattutto nei centri di provincia).

I volti noti e le associazioni che operano in questo campo, tra cui la capofila U.N.ITA. (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) hanno sollevato la questione in modo indignato e contrariato sui social, cercando di attirare l’attenzione pubblica su un settore che viene spesso percepito accessorio quando invece la sua funzione è primaria, fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle persone e della società.

Ed è proprio questo il punto: in che direzione il Governo ha intenzione di far crescere e formare la popolazione del nostro Paese? Disinvestire nel settore culturale significa attaccare il Paese nelle sue ossa, e non solo perché l’Italia, da questo punto di vista, è ricchissima, ma perché non permette alle nuove generazioni di godere, apprezzare, valorizzare e imparare. La cultura non è facoltativa, è l’unico combustibile economico e sociale inesauribile.

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