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ROGER… ARRIVA IL PRESIDENTE! Intervista al regista Marco Chiarini

ArteCultura

La capacità del cinema di creare nuovi mondi, personaggi memorabili e situazioni eccezionali è ciò che lo ha sempre reso affascinante: in qualsiasi film, a prescindere dal genere, la storia prosegue armoniosamente e tutti agiscono perfettamente al momento giusto, è tutto scritto e calcolato nei minimi dettagli ed è per questo che ci soddisfa così tanto. Ma cosa succede quando si porta sul grande schermo la rappresentazione della realtà, semplice così come appare agli occhi di chiunque? Come prende forma e che effetto fa quella parte di vita che solitamente in sala non entra mai (se non rielaborata e riscritta)? 

Il regista teramano Marco Chiarini, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia e candidato a due David di Donatello nel 2010, si è posto questa domanda e tante altre, e le risposte sono tutte nel suo nuovo film premiato al Bellaria Film Festival 2023: Roger…arriva il Presidente!

Insieme al cane-attore, il bassotto Roger, Chiarini esplora con lentezza una piazza teramana, piazza Garibaldi, rivelandone la quotidianità priva di qualsiasi artefatto e rendendola, per questo, straordinaria.

Inoltre, per una scelta consapevole dello stesso regista, il film sarà distribuito solo al cinema: in questo caso, come dice Marshall McLuhan, il medium è il messaggio. Il tour del film è iniziato poche settimane fa nel cinema Nuovo Sacher di Roma, sarà al cinema Smeraldo di Teramo dal 4 all’11 aprile, e poi proseguirà verso le sale di tutta Italia rivolgendosi al grande pubblico con un linguaggio molto diverso da quello che si aspetta. 

Ho avuto la possibilità di porre sette domande a Marco Chiarini e, a distanza di quattordici anni dalla sua opera prima – L’Uomo Fiammifero – ecco come si è espresso a proposito del terzo film:

Se dovessi scegliere una sola parola per farci capire il senso di Roger, quale useresti e perché?

L’unica parola che rende meglio è: attesa. Un concetto che nel cinema, nella vita e nella ricerca della felicità si è perso. Tutto è compresso in una irrinunciabile sincronicità; irrinunciabile per imposizione dei media, della società in generale. Ogni desiderio deve essere a disposizione, ogni necessità deve essere disponibile, quel che vogliamo deve essere alla nostra portata ora. E quindi questo ragionamento si può allargare ad ogni campo: questa mancanza di attesa si riversa anche nel come sono concepiti e progettati i film o l’intrattenimento in generale.

Perché hai scelto di proiettare il film solo al cinema?

Proprio per esaltare questa attesa. Al cinema, da sempre, ci si siede in sala con il desiderio di lasciarsi trasportare in un’altra dimensione narrativa con la speranza che abbia il sopravvento su di noi, costretti con altri a rimanere al ritmo del film, che può anche essere lento. E questa lentezza può anche essere un elemento drammaturgico che, nelle intenzioni dell’autore, è parte dell’emozione che si vuole far provare. Quindi abbiamo deciso di non distribuire mai il film sulle piattaforme; semplicemente perché il film va visto al cinema. La verità è che ogni film perde molto del suo potenziale nella visione su piccolo o piccolissimo schermo. Come tutti sanno, è imparagonabile l’esperienza al cinema rispetto a quella della visione (ormai consueta) sui tablet con le cuffie dentro al letto.

Quanto tempo ci hai messo a girare il film e quali sono state le parti più “dure”? 

Le riprese sono iniziate a metà ottobre 2019, proprio con il taglio di una siepe ai bordi di Piazza Garibaldi. E sono finite intorno alla metà di aprile 2022. In linea generale ho girato sempre qualcosa ad ogni uscita col cane e quando ero a Teramo. Non ci sono stati, in verità, momenti duri, in cui credevo – come spesso si suole raccontare – che tutto era perduto. O forse: è stato sempre durissimo. Profondamente disperato e duro. Ecco: tutta la produzione è stata una passeggiata lunga e continua, ma a piedi scalzi sulle rocce appuntite.

Qual è la differenza tra Marco Chiarini che gira “L’Uomo Fiammifero” e Marco Chiarini che gira “Roger… arriva il Presidente!” 

L’esperienza. Ma con la stessa necessità e urgenza di raccontare con precisione un qualcosa in particolare. Ai tempi de L’Uomo Fiammifero c’era il rapporto con l’immaginario infantile, con il passaggio dalla pubertà all’adolescenza, con la perdita di un mondo e di tutti i legami affettivi. Con questo film le esigenze erano molto differenti, già solo per il fatto che avessi 15 anni di più. Un dettaglio però è importante: se con L’Uomo Fiammifero si parlò di low budget, di lavoro a bassissimo costo, in questo caso il costo è stato pressoché nullo. Ma non perché non ci fossero soldi, ma proprio per scelta, proprio per la tipologia di film e di racconto. Il denaro non avrebbe cambiato il senso e la forza del film. In questo caso era una variabile ininfluente. Ed è questo un aspetto che colpisce gli spettatori: ci si accorge che le questioni in campo sono altre e il cuore del film è nell’essenza stessa del linguaggio cinematografico. Che, come ovvio, si avvantaggia con un grande budget, ma che non è un elemento indispensabile per fare cinema.

Perché hai fatto questo film? Cosa volevi dirci?

L’ho fatto per esigenza e ho messo dentro tutto il meglio che potessi nel migliore dei modi, con la più grande intensità potessi. Alla seconda domanda non devo rispondere.

Quali sono gli aspetti che rendono questo film di qualità?

L’elemento cruciale del film è la fortuna di aver avuto una serie di professionisti (dallo sceneggiatore, al fonico rumorista, al compositore delle musiche) che lo hanno protetto dal primo giorno di ripresa e continueranno nei giorni di distribuzione. Ad esempio, decidendo di non distribuirlo online, sulle piattaforme, ma solamente al cinema. Quindi il film potrà essere visto in questo lasso di tempo solo in sala. Ora o mai più.

Come reagiscono gli spettatori quando vedono il film al cinema?

Rimangono tutti emozionati e sconcertati, ma dire questo ora, entrando nei dettagli, darebbe di me e del film un’idea troppo esaltata. La realtà è molto semplice: il film racconta qualcosa con molta sincerità. Il pubblico coglie questo.

 

Intervista di Giulio Perri

Foto di Valerio Latino

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